Quello che per noi può sembrare assurdo in Lapponia è assolutamente vero, reale e necessario. In un Paese dove non esiste il concetto di “chiudersi a chiave”, lo Stato mette a disposizione una serie di rifugi in legno disseminati nel parco nazionale di Pallas-Yllästunturi che restano gratuitamente aperti per i viaggiatori che dovessero averne bisogno.
I rifugi sono in genere in ottime condizioni, quasi tutti hanno una dotazione base che comprende un tavolo, delle panche, una stufa a legna e qualche scatolame per un pasto d’emergenza.
Entrare in un rifugio dopo molti chilometri percorsi a trascinarsi sugli sci da foresta o sulle ciaspole a temperature polari è un’esperienza catartica. Spesso è necessario conservare qualche energia per entrare nei rifugi: la porta può essere congelata, la neve può ostruirne l’accesso o può esserci bisogno di predisporre una piazzola di neve compatta su cui abbandonare gli sci senza il rischio di sprofondare nel manto morbido appena si staccano i piedi dalle tavole. Una volta compiute queste operazioni però si entra in un mondo incantato, tutto di legno, dove l’odore di stufa e incenso bruciati fanno da padrone.
La civiltà non è un elemento accessorio quando l’uomo deve confrontarsi con una Natura che lo sovrasta e lo mette alla prova. Come in montagna si saluta la persona che si incontra sul sentiero o sulla via, vuoi per educazione, vuoi per il piacere di una presenza amica, vuoi anche perchè quella persona potrebbe essere la stessa (e l’unica) che potrebbe salvarti qualora tu sia in difficoltà.
Allo stesso modo nella gestione dei rifugi della Lapponia si fa affidamento sulla civiltà ed il rispetto reciproco che un uomo dovrebbe avere verso i suoi simili. Si arriva al rifugio con una temperatura esterna di -30°C. Si opera tenacemente per entrare al suo interno. Le mani sono congelate e il sudore si sta gelando addosso in pochi secondi. E questo accade se fuori il tempo è buono.
Appena si è all’interno non si è capaci di pensare ad altro: non c’è fame, non c’è sete, non c’è bisogno di un bagno. Si vuole solo accendere un fuoco e scaldarsi davanti alle sue fiamme. Si vuole portare la temperatura di questo locale a qualche grado in meno sotto lo zero. Si vuole asciugare ciò che di umido si ha addosso. Per fare questo nel rifugio troverai sempre della legna già tagliata, dei pezzi piccoli da avviamento e dei pezzi grandi da mantenimento; troverai della corteccia di betulla bianca, il miglior accendifuoco che possa esistere in Natura. Una scintilla basta per farla ardere ed un pezzo di corteccia basta ad accendere la legna stoccata se è ben protetta e secca.
Nel rifugio potresti trovare fiammiferi (ma per sicurezza porta sempre una pietra focaia) e piccole provviste per un pasto di emergenza. Sarebbe bene che quel materiale venisse consumato SOLO in vera emergenza e che, qualora possibile, fosse ripristinato in qualche modo così da salvare la giornata o, perchè no, la vita a chi ne avesse bisogno dopo di noi.
Quantomeno è d’obbligo tagliare altrettanta legna quanta quella consumata, riporla nella legnaia, pulire la stufa e il pavimento quando si esce dal rifugio e sia è stati scaldati e coccolati dallo stesso in modo che chi dovesse arrivare dopo di noi riceva lo stesso se non migliore trattamento.
Posso garantirti che lo farai con piacere: io ricordo chiaramente quanto era bello poter scaldare il cibo congelato dello zaino vicino a quella stufa, poter fondere della neve per bere dell’acqua o del thè caldo sopra quella stufa, poter asciugare i guanti, i cappelli o gli scaldacollo zuppi e rigidi dal freddo sopra quella stufa. Ricordo il profumo delle salsicce cotte sulla viva fiamma di quella stufa.
Sì, ho proprio voluto bene a quella stufa.