La Terra è più viva in Islanda. Sul serio. Le persone non curano le proprie case, specie in alcune zone, perché sanno quanto effimera possa essere la vita e, ancor più, la durata di una casa. Un sussulto del suolo, un’eruzione piccola o grande, un’alluvione, uno Jokulhlaup, la terribile inondazione glaciale i cui effetti si vedono spesso in Islanda: ognuna di queste evenienze riportate in un elenco di certo non esaustivo, può spazzarla via in poche ore. Se la Terra è viva allora deve avere un cuore.
Se appoggiamo l’orecchio al petto di un’amante ne possiamo sentire il cuore. Oggi abbiamo sentito il cuore della Terra; essa è stata la nostra amante oggi, meravigliosa e nuda in Islanda, ammaliante e terrorizzante, sonnecchiante e fremente allo stesso tempo. Allora via, sulla strada, ad arricchire il cuore con ciò che ieri non conoscevamo.
Una breve sosta stempera il freddo del mattino con un bel caffè e un dolce stupendo a Modrudalur, l’unica fattoria abitata nell’arco di qualche centinaio di chilometri, ambita meta dopo una sterrata ancora percorribile con veicoli normali. Una poesia allieta il viaggio, anche se il suo senso resta incomprensibile allo straniero.
La 864 si snoda, sterrata e cruda, fra deserto e lastroni lavici, fino al momento in cui, nel nulla, sappiamo di doverci fermare per la nostra nuova meta. Non servono indicazioni. Sul paesaggio piatto salgono gli sbuffi d’acqua che salgono verso il cielo e che contrastano con altra acqua che, copiosa, scende dal cielo, rivelando la posizione della cascata di Dettifoss. Il vento e l’acqua nebulizzata sono troppo forti per provare a fare qualche scatto in più senza danneggiare la reflex. A volte bisogna sapersi accontentare.
Una rapida salita sull’altopiano del Krafla dove una grande centrale geotermica, capace di imbrigliare 60 GW di potenza (1/3 di quella che serve a tutta l’Islanda), si armonizza in modo egregio col paesaggio. Perchè non la costruiscono più grande? Semplicemente perchè ritengono troppo rischioso l’investimento in relazione alla probabilità che quello che c’è sotto non erutti e distrugga tutto. Incredibile.
Camminare verso i crateri di Leirhnjukur e la caldera del Krafla è vietato oggi. Grossi buchi si aprono subitaneamente in terra, rischiando di risucchiare chi dovesse passare di lì, dritto fin sul magma che, fuso, scorre piuttosto in superficie qui. Si può visitare il magnifico cratere di Stora-Viti, che racchiude una pozza di acqua turchese al suo interno. Il cratere di 320m deriva da un’esplosione avvenuta nel 1724. Riassumere quanto stiamo per vedere oggi, mettere sul tavolo tutte le maestose forze che, al momento chete, ci lasciano uno spiraglio di tempo per vedere colori e forme inattese, è indispensabile prima di lasciare spazio alla visione delle esplosioni di colori e sensazioni che seguiranno. A nord del Myvatn sorge l’area del Krafla. In realtà il Krafla è solo una montagna di 800 metri ma ormai il suo nome identifica una intera regione vulcanica attiva che sorge 7 km a nord della Hringvegur. La fonte magmatica della zona non è il classico vulcano, ma una spaccatura che dà sfogo ad un grande serbatoio magmatico, alimentato da una zona di subduzione, che in questo momento si sta riempiendo per una probabile attività futura. Ogni visita al sito è una visita a rischio. L’area, attiva, ha bocche fumanti vive, pozze di fango ribollenti e declivi di scorie laviche. Crateri che collegano la superficie con zone di fusione in profondità si aprono inavvertitamente e, se a leggere queste righe la sensazione è quasi da parco divertimenti, realizzare di trovarsi fisicamente con i piedi su un campo minato rende tutto più reale. Sull’altopiano del Krafla è stata costruita una grande centrale geotermica ma, proprio durante le operazioni di realizzazione, ci fu una fase attiva esplosiva che minò parte della realizzazione e diminuì il potenziale del sito, limitando la potenza della centrale di Kroflustod a 60 MW. Avvicinandosi alla vetta del Krafla svettano imponenti il cratere brunastro di Stora-Viti e la vera e propria caldera del Krafla.
Avete mai notato quanto siano simili le parole maestoso e mostruoso? Arrivando a quella che è la regione del Myvatn vera e propria, questa similitudine si fa ancora più giustificata. Un’area di qualche decina di km quadrati, diecimila anni fa coperta da ghiacciai, è stata distrutta da violente eruzioni vulcaniche. Queste eruzioni chiusero la base del lago e formarono i Moberg, rilievi dalla cima piatta tipici di eruzioni subglaciali. 6000 anni dopo un’altra eruzione generatasi dal cratere di Ketildyngja, sbarrò in modo differente il lago e ne ampliò le dimensioni. 1000 anni dopo un’ulteriore, potente esplosione, diede origine al cratere di tefrite di Hverfell, che ancora oggi domina maestoso l’area. Solo le eruzioni, continue e impetuose, dei 200 anni successivi, modellarono il lago nella forma odierna. A seguito di eruzioni recenti (1984) la zona sta tornando a gonfiarsi e a prepararsi a nuova attività. Sotto al cratere di Hverfell si estende un campo spettrale, Dimmuborgir.. Varie teorie cercano di spiegare la formazione di queste colonne di lava che sembrano frutto della fantasia di un disegnatori di fumetti che tratteggia una creatura pietrifica e la sua pelle rugosa di pietra quando inizia a costringerne i movimenti tanto da corrugarsi sotto la forza dei suoi stessi spasmi. La realtà è che un vasto campo lavico doveva essersi formato e aveva iniziato a freddarsi in superficie, costruendo una crosta dura e rocciosa. L’acqua, infiltratesi sotto di esso, è stata poi subitaneamente vaporizzata facendo aumentare a dismisura la pressione e generando dei mastodontici rigonfiamenti, piccoli vulcani di vapore, necessari a liberare le pressioni del sottosuolo. Siamo sulla pelle, brufolosa, della Terra. Myvatn significa anche isola piena di specie vegetali e animali, rifugio di nidificazione per migliaia di esemplari: ne sono ’esempio il piccolo promontario di Hofdi, l’area protetta di nidificazione sita a nord-ovest e, per finire, la presenza di piccoli, fastidiosi e famosi cocciatori volanti che costringono i visitatori a dotarsi di retine antinsetto per evitare di essere aggrediti. Sarà stata fortuna ma noi non ne abbiamo sentito il bisogno… I Midges scozzesi sono molto più tenaci e zelanti nel loro tremendo lavoro di azzannare l’uomo…
Formazioni scure dipinte da macchie e striature rossastre fanno da cornice al viaggio. Lava e ferro fusi colorano il paesaggio fino alla prossima meta. Dimmuborgir. Qui muovi i passi fra rocce altissime che ti circondano, rocce sofferenti che si innalzano contorte e frammentate, ripiegate in archi, stracciate e spezzate: non riesci a capire cosa possa aver generato un tale spettacolo, tanto raccapricciante quanto dotato di armonia e regolarità.
Un’eruzione vulcanica generò 2300 anni fa una vasta distesa di lava fusa che intrappolò sotto di essa l’acqua che era sulla superficie. La lava solidificava sopra, come un tappeto di fuoco, mentre l’acqua sotto di essa evaporava velocemente e aumentava di pressione fino a quando non è stata in grado di trovare la sua via verso l’atmosfera esterna, sfondando la copertura di lava solidificata e bucandola ripetutamente, generando fori, simili a buchi di proiettile sparati dall’interno della terra e usciti a gran velocità verso il cielo. A vegliare a pochi chilometri di distanza c’era lui, troppo bello, misterioso, imponente, invitante per non scalarlo fino ad arrivare a guardarlo dritto nel suo cuore. Hverfell.
Le emozioni della giornata nella mente, il freddo nel corpo: è ora di scaldarsi con una bella cena nel paese di pescatori di Husavik, dove ci aspetta la guesthouse Arbol, calda e accogliente.