Islanda - Giorno 3 - Parte 1 - Skaftafellsjokull

SKAFTAFELLSJOKULL – IL PRIMO SGUARDO

La giornata di oggi sembra piuttosto tranquilla. Nel viaggio si passerà vicino alla coda di uno dei più grandi ghiacciai europei. Ci sarà da fare qualche foto, magari avvicinarsi alle lingue di ghiaccio terminali, ma poco di più. In fondo cosa mai sarà di più della neve e del ghiaccio che abitualmente ammiriamo sulle nostre Alpi. In nessun modo ci si poteva sbagliare di più. Avvicinarsi a quel mastodontico ammasso di ghiaccio, decine di metri di spessore nella sua parte terminale, centinaia di metri nel suo cuore, provoca una sensazione indescrivibile. La breve passeggiata verso lo Skaftafellsjokull consente di apprezzare a distanza la punta estrema e microscopica della meraviglia di un ghiacciaio immenso e vivo. La necessità di salirci sopra, di avvicinarlo ed esserne sedotti, è inevitabile.

SI SALE A BORDO DELLO SCUOLABUS

Ci pervade un richiamo, un’attrazione irresistibile che viene dalla netta percezione che anche quel ghiaccio è vivo e, nel suo gelo, è in grado di scaldare l’anima. La coscienza che ciò che si vede è una microscopica parte di un massiccio ghiacciato che per chilometri si estende verso l’interno lascia senza fiato. Se i programmi sono fatti per essere cambiati, in Islanda i programmi proprio non si possono fare. Appuntamento con una guida esperta e si salta sul bus da ghiaccio per l’avvicinamento al ghiacciaio. Attrezzatura, piccozza e ramponi sono pronti, credo proprio che il momento di andare a conoscere da vicino questa meraviglia. A dispetto di ogni convinzione precedente, scopriamo dalla guida, Snorri, che l’avvicinamento rischia di essere la fase più rischiosa. Se ovunque nulla è immutabile, qui tutto è in stravolgimento continuo. La prima parte del percorso si snoda su un soffice manto grigiastro, una sabbia che sembra poggiare sul terreno. In realtà quella sabbia è cenere vulcanica derivante dall’eruzione dell’Eyjafjoll, sito a quasi 200 km di distanza, nel 2010, e sotto di essa ci sono decine di metri di ghiaccio, ma del più friabile. Il fiume e il piccolo lago che sono al nostro fianco non erano lì ieri, ma erano diverse centinaia di metri più in là. In sostanza apprendiamo che nel ghiaccio esistono un gran numero di canali che collegano il ghiacciaio con il mare e attraverso cui l’acqua arriva alla costa e si riversa in oceano. Ogni volta che questi canali, o meglio i loro sbocchi in superficie, si stappano o tappano a seguito di crolli e cedimenti si svuota o si riempie il lago in una nuova posizione e si formano di conseguenza i fiumi superficiali che ne scaturiscono. E questo avviene subitaneamente, con cedimenti istantanei e svuotamenti che durano poche decine di secondi. Camminare su quella superficie è pertanto un vero campo minato, se non fosse per l’abile lavoro dei geologi che hanno segnato il percorso più sicuro, su cui comunque si deve procedere con attenzione e in cordata.

Arrivati al ghiaccio nudo lo spettacolo è incredibile. I ramponi fanno presa, la piccozza è pronta all’uso, in posizione di riposo. Ci si inerpica sulla superficie ghiacciata. Attorno solo silenzio, rotto esclusivamente dai boati, non troppo lontani, dei blocchi di ghiaccio e dei seracchi che crollano dove il ghiacciaio inizia ad avere maggiore pendenza. La nebbia avvolge la parte alta della montagna e, di tanto in tanto, alza il suo velo lasciando intravedere quei riflessi magnifici. Tutto intorno la superficie liscia del ghiacciaio è segnata profondamente da piccoli canali entro cui scorre l’acqua di scioglimento superficiale: un’acqua limpida, pura, che scorre fino ad incappare in un cosiddetto mulino, un pozzo a spirale costruito dall’acqua che incessantemente lavora la superficie ghiacciata. L’acqua, nel suo scorrere, incontra una piccola asperità e, giorno dopo giorno, scava la crosta di gelo fino a ricavarsi, a fatica, la sua via di fuga fino alle profondità più recondite del ghiaccio e poi via, dritto fino in oceano. La profondità di un pozzo non è quantificabile, il suono del sasso in esso lanciato non torna indietro.

COME BAMBINI IN UN PARCO GIOCHI

Risalendo il percorso dell’acqua, allontanandosi dal mulino, ci si può concedere una pausa di relax e giocare un po’, bevendo quell’acqua pura direttamente nell’alveo dove scorre. Lo “shot” del ghiacciaio, lo chiamano. La nota di simpatia in questo ambiente impossibile viene poi guardando a terra. Piccole palline ricoperte di muschio su ogni lato. Non ricordo il nome che la guida Snorri ha dato a queste curiose creazioni della Natura, ma ben ricordo la spiegazione della loro nascita: sono palle di neve rotolante che, fra un movimento e l’altro, stanziano in una posizione e si ricoprono, sulla faccia esposta al sole, di muschio. Con la pazienza del Pianeta, centimetro dopo centimetro, si ricoprono di muschio su tutti i lati e trovano la forma finale in quelle palline impazzite che vediamo rotolare ovunque intorno.

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Questo articolo è scritto da:
Amante della Natura e dei Paesi del nord, è proprietario del marchio The North Traveller, fondatore di Fucinedellaluce e co-fondatore di Sentia Studio
Emanuele
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